Microcredito

Un giovane vuole aprire una startup, ma non ha case di proprietà né mamma o papà che possano coprirgli le spalle con una garanzia. Un extracomunitario ha un’idea imprenditoriale in testa e pochi soldi in tasca. Un gruppo di donne - una commercialista, un’avvocata e una consulente del lavoro - coltivano il progetto di fare squadra e di avviare uno studio a tutto campo: nessuna garanzia reale, solo la voglia di mettersi in gioco. Per loro, si sa, la strada dei finanziamenti tradizionali è sbarrata: non ci sono ipoteche da accendere né fidejussioni da sottoscrivere.

C’è però un microcredito alternativo, socialmente sostenibile, a portata di tutti gli esclusi dai canali tradizionali: si chiamano in un gergo impietoso “soggetti non bancabili”. Questi prestiti in Italia stanno volando: secondo il nuovo rapporto dell’Ente nazionale per il microcredito, le richieste potrebbero raggiungere quest’anno quota tremila.

In due anni e mezzo le domande - e le erogazioni di credito - sono lievitate. Fino ad assestarsi nel primo semestre del 2018 a quota 1.507 richieste di finanziamento che da sole superano i volumi di tutto il 2017.

Le proiezioni elaborate dall’Ente prevedono - e sono stime prudenziali - un raddoppio: il 2018 potrebbe chiudersi quindi a quota 3mila trascindandosi dietro finanziamenti per oltre 24 milioni di euro. Fermandoci a oggi e quindi tenendo presente l’intero periodo fino al primo semestre di quest’anno, le erogazioni si attestano a 31,4 milioni di euro, con 1034 finanziamenti andati a buon fine di cui 517 solo nel primo semestre del 2018 contro i 603 prestiti erogati in tutto il 2017.

«Questi dati dimostrano che il Paese sta uscendo da un clima di sfiducia dilagante nei confronti dei sistemi di aiuto alle imprese - dice Mario Baccini, presidente dell’Ente nazionale per il microcredito- e che l’aver abbracciato l’economia sociale di mercato come lotta all’esclusione si sta rivelando una formula vincente». Lo strumento, infatti, funziona senza il ricorso a garanzie reali: l’imprenditore o aspirante tale fa domanda di prestito a una delle 25 banche convenzionate con l’Ente (1.300 filiali in tutto) e il Fondo di garanzia per le Pmi interviene a tutela del rientro del finanziamento. Il tutto veicolato dal servizio di tutoraggio, una new entry che a regime sta dando i suoi frutti. «Nulla a che vedere - tuona Baccini - con alcune formule di microcredito che monitoriamo e che vengono offerti sul mercato in totale assenza di servizi ausiliari e con tassi di default che arrivano anche al 20 per cento».

Il tutoraggio sembra invece la mossa vincente: spiega l’alto tasso di accoglimento delle domande e spiega anche il basso tasso di default: solo lo 0,73 per cento.

«Il microcredito imprenditoriale che abbiamo avviato nel 2016 e che oggi, grazie alle convenzioni con le banche, può contare su un planfond di 300 milioni - spiega Giovanni Nicola Pes, vicesegretario di Enm - prevede l’assistenza di 325 tutor iscritti all’elenco nazionale obbligatorio da noi vigilato e che sono sparsi sull’intero territorio nazionale.

I tutor offrono assistenza prima, durante e dopo il finanziamento: è la vera grande rivoluzione del nostro modello che ha permesso al microcredito imprenditoriale di assestarsi su un così basso tasso di default contro il 10% di quello tradizionale».

Figura centrale, il tutor è un libero professionista che fa richiesta all’Enm, affronta un breve periodo di formazione e poi si iscrive all’elenco nazionale obbligatorio. È lui che incontra gli aspiranti imprenditori o i professionisti che fanno domanda di microcredito, ne analizza la tenuta sul mercato, fa una prima scrematura scartando le domande non finanziabili e redige il business plan. Insomma, accompagna i progetti imprenditoriali passo dopo passo. I tempi medi dal primo contatto con il tutor alla delibera bancaria sono di circa tre mesi: 34 giorni per le operazioni di tutoraggio e 62 di attesa per la delibera bancaria

Con questa formula l’Ente ha accolto il 68% delle domande dal 2016 al primo semestre 2018, pari a 1.368 richieste soddisfatte: non sono poche se si considera, dati alla mano, che quelle rifiutate sono in realtà soltanto il 10% perché un buon 22% delle istanze sono state ritirate per rinuncia da parte del”candidato”.

La top ten regionale riserva qualche sorpresa: i finanziamenti più consistenti sono andati alla Sicilia (18,3%), Sardegna (7,9%) e Calabria (7,2 per cento).

 

Fonte : il sole 24 ore